Parliamoci chiaro: l'evento di presentazione di Xbox One, ormai distante sette anni, poteva andar peggio solo in un modo: Don Mattrick, al posto di invocare la famigerata formula "tv, tv, tv, tv, tv", avrebbe dovuto esclamare "tv, tv, Ph'nglui mglw'nafh Cthulhu R'lyeh wgah'nagl fhtagn, tv, tv, tv".

Potrebbe non essere un buon segno ma l'evento dedicato a Halo Infinite è riuscito a farmi provare nuovamente quella sensazione avuta durante la visione della conferenza del 2013, quando anche a migliaia di chilometri di distanza ti rendi conto che le cose stanno andando molto male.

Esteticamente Microsoft sta mantenendo tutt'oggi la linea della semplicità quasi industriale. Ha inoltre capito che il nero lucido non lo vuole nessuno.

Allora, come oggi, il feedback fu immediato e il dietro front di Microsoft anche. Un cerchio che si è chiuso? Non esattamente, perché in mezzo c'è stata una generazione intera fatta di errori, molti, e colpi a segno, alcuni dei quali potrebbero ridefinire il modo in cui accediamo e utilizziamo il videogioco in quanto prodotto.

Chi mal comincia…

Il grande errore di Microsoft nel 2013 fu il tentativo di mettere in atto un colpo di mano con l'idea di far partire una rivoluzione che nessuno aveva chiesto. In genere chi ha il coraggio di cambiare, specie in certi campi, riesce a incunearsi in uno spazio che nessun altro aveva pensato di occupare, emergendo e vincendo. Microsoft provò a farlo, però, in modo troppo autoritario e arrogante, come fosse in una posizione tale da poter dettare legge, quando di fatto era l'ultima arrivata del settore e aveva alle spalle due generazioni tutt'altro che dominanti.

Xbox 360 era partita molto bene, ma lo aveva fatto con troppa energia, bruciando tutto all'inizio e dimostrando l'inesperienza della casa madre che, a differenza di Sony, non aveva ancora capito che le generazioni sono una maratona, non una gara di velocità. Sappiamo tutti come è andata: PlayStation 3, pur con tutti i problemi iniziali, ha chiuso il proprio ciclo vitale in ottima salute e proprio al tramonto ha buttato quel one more thing che risponde al nome di The Last of Us, a oggi una delle sue punte di diamante più splendenti.

Microsoft invece aveva visto la luce nel Kinect. Abbagliata dal successo di Nintendo e del Wii, si era convinta che il futuro fosse questo nuovo modo di intendere il videogioco, dove i soggiorni erano grandi come sale da ballo e dove tutti non stavano aspettando altro che saltare, correre, piegarsi e mimare la canna da pesca o la tavolozza di colori. Dopo un primo tentativo di saggiare il pubblico con il Kinect di Xbox 360, con "One" era il momento di fare sul serio: Kinect per tutti, volenti o nolenti.

Xbox One si rivelò perdente su ogni fronte possibile: estetica, potenza, prezzo, line up. Ma il problema vero fu un altro: a Redmond riuscirono ad alienarsi un'enorme fetta di videogiocatori provando a imporre un sistema di fruizione del videogioco tanto macchinoso quanto angosciante, fatto di connessioni obbligatorie, di un mercato ibrido fra digitale e fisico, di giochi legati all'utenza. Il futuro così delineato pareva talmente corporativista che anche le teorie più assurde parvero plausibili. Ricordo ancora che per un po' tenne banco la notizia che Kinect avrebbe potuto vedere quante persone c'erano sedute sul divano e avrebbe fatto pagare di conseguenza il noleggio dei film.

Dovessi scegliere un titolo di lancio di Xbox One a cui dare una seconda possibilità...

Queste cose poi non avvennero. Come detto prima, Microsoft fu sommersa da una valanga di tali dimensioni da spingerla quasi subito a una memorabile inversione a U – con tanto di prese in giro da parte di Sony che, intanto, costruiva sulla debacle avversaria mostrando video dove i giocatori si passavano la custodia del gioco, indicandolo come il metodo PlayStation per prestare i giochi agli amici. Don Mattrick venne inumato in un pilone in calcestruzzo della A26 e al suo posto arrivò Phil Spencer.

Future starts slow

La leggenda vuole che Satya Nadella avesse seriamente preso in considerazione l'idea di liberarsi della divisione Xbox e che Spencer fosse sostanzialmente il designated survivor. La stessa leggenda, però, racconta anche che Phil abbia detto all'amministratore delegato di Microsoft: "scegli cosa fare di Xbox, ma sappi che se decidi di tenerla e di lasciarmi al comando, devi darmi carta bianca". Evidentemente il suo discorso è stato convincente e in Microsoft hanno decretato di lasciar il buon Spencer libero di plasmare Xbox secondo il suo volere. Certo, non è che alle spalle non avesse e non abbia decine e decine di persone che lo guidano e lo consigliano, ma per comodità teniamo lui come volto unico di Xbox One.

Ora, non faremo una cronistoria della generazione di Xbox One perché rischierebbe di essere riscritta attraverso il prisma del "senno del poi". Microsoft ci ha messo sette anni per recuperare quanto distrutto in un pomeriggio e sta ancora lavorando per rifarsi un'immagine. Ha riesumato tutte le cartucce di E.T. dal deserto del New Mexico per nasconderci sotto i Kinect e ha fatto sparire dalla circolazione chi chiedeva come mai non funzionasse più la TV Guide della dashboard. Eppure, anche se è arrivata alla fine della corsa in modo scomposto e affannato, qualche colpo lo ha piazzato e in alcune occasioni è pure riuscita a superare la guardia dei propri avversari.

Con il programma Insider ha coinvolto la community nel risanamento del sistema operativo e di una dashboard afflitta da moltissimi problemi. Ha ascoltato i consigli e implementato molte delle cose proposte dai giocatori stessi, come la retrocompatibilità. Ha dato forma a un ecosistema interconnesso e di facile accesso, credendo nel play anywhere, nel cross platform e nel Cloud Gaming, che in sincronia con Game Pass, è potenzialmente il vero futuro del marchio Xbox. Si tratta di un percorso che, a dire il vero, ha coinvolto tutta la Microsoft di Nadella, fervido sostenitore del prodotto come servizio e non come oggetto o hardware, ma che, vista l'evoluzione del media, in Xbox sembra comunque la via più logica e fluida.

Decisa a non ripetere l'errore fatto con la prima versione di Xbox One, quando si è presentata l'occasione delle macchine di metà generazione, ha partorito Xbox One X, posizionandosi in cima alla catena alimentare in termini di prestazioni. Penso valga la pena, sempre parlando di hardware, parlare anche degli sforzi fatti in termini di inclusività, con il controller adattivo e tutti gli accessori ad esso collegati che permettono anche a persone affette da disabilità diverse di poter giocare. Sarebbe un errore vedere tale impegno come marginale o di secondaria importanza: è fin troppo facile progettare la macchina più potente, sviluppare il gioco più affascinante e vivere sulla rendita di questo, chiudendo il concetto di gioco intorno a un target ben definito e limitato.

Infine, l'elefante nella stanza. L'elefante buono, s'intende, perché di pachidermi Microsoft in soggiorno in realtà ne ha due. Sto parlando di Game Pass e di quello che potrebbe essere per il futuro del videogioco. Non è un segreto che ormai il pilone centrale intorno al quale Spencer e compagnia stanno costruendo la prossima generazione sia proprio il servizio in abbonamento inaugurato nel 2017. Però, per quanto si tratti di una cosa con più gamba nel futuro che nel presente, il tutto è comunque nato durante questa generazione al tramonto. Se nei prossimi anni Xbox si evolverà sempre più un marchio, come Windows, e non una macchina o un settore preciso, il Game Pass potrà essere visto come la prima pietra.

Il lato oscuro della X

Scommetto che alcuni stanno già affilando le lame. In effetti, se finissi qui l'articolo, ne verrebbe fuori un'agiografia di una macchina tutt'altro che da premiare. Per quanto Microsoft abbia imparato dagli errori e ora riesca a mostrare al mondo un'idea, un progetto con una forma e uno scopo, lo ha fatto troppo tardi e ci è arrivata, se non per caso, per molti tentativi effettuati sulla pelle dei suoi sostenitori. Se in quanto macchina Xbox One non ha torturato gli utenti con RROD o condanne simili, la sua partecipazione al rapporto di coppia Giocatore-Console è stata fredda e tutt'altro che memorabile.

In sette anni dal panorama Xbox non è uscito un titolo ad alto budget capace di far tremare la terra, anzi, le vecchie glorie come Halo e Gears ne sono uscite indebolite e sbiadite. Non ho voglia di nascondermi dietro la diplomazia: se i fan di Gears possono ancora sperare in The Coalition, che dopo un Gears of War 4 decisamente anonimo, ha saputo offrire un seguito molto più accattivante, quelli di Halo sono alla canna del gas. 343 industries ha stravolto e snaturato il brand, ha sperimentato a cuore aperto con due episodi diversi e sostanzialmente scollegati e ha mostrato il frutto di cinque anni di sviluppo in modo così maldestro da portare quasi al collasso la campagna marketing di Xbox Serie X. Mi si conceda la battuta: Microsoft per rimediare ha dovuto comprare Bethesda!

Vorrei inoltre ricordare che la Master Chief Collection a cinque anni di distanza dal lancio presenta ancora problemi tanto gravi da risultare spesso inutilizzabile. Per un anno, dopo il lancio, il team di sviluppo ha dovuto lavorare con il supporto di altre tre software house, nel tentativo di riparare il gioco. Arrivando, a un certo punto a dire ai fan: non giocateci, ci rivediamo fra sei mesi. Per poi pubblicare una patch grande quanto il gioco stesso.

Scalebound è l'alfiere della confusionaria e tragica politica Microsoft in termini di esclusive.

Insomma, quello di 343 industries lo considero l'esempio massimo di come Microsoft abbia grossi problemi nel gestire le sue scuderie virtuali. Al netto di alcune certezze, che ormai sono praticamente ridotte al solo nome di Turn 10, i franchise dello schieramento Xbox hanno davvero bisogno di una boccata di ossigeno e di nuovi alleati.

In tal senso le acquisizioni degli ultimi anni, con quella in stile Krakatoa di Bethesda, fa ben sperare, ma come diceva Seneca, parlando di problemi: "non devi cambiare il cielo sopra di te, ma quello dentro di te". Microsoft ora deve dimostrare di saper sfruttare l'enorme potenziale artistico e tecnico accumulato negli ultimi ventiquattro mesi (anche qui si può vedere quanto Xbox One sia stata una generazione debole e malata, basta andare indietro di soli due anni per vedere i primi accenni a un piano razionale) perché altrimenti siamo punto e capo. È vero: leggere in un solo elenco i nomi delle case di sviluppo ora facenti parte degli Xbox Games Studios fa impressione, ma fa ancora più impressione pensare a quello che hanno dimostrato di saper fare dall'altra parte dell'oceano. Allo stato attuale, pur con tutti gli Spartan, i COG, gli Ori, i Cuphead, i Laguna Seca, tutti ammassati su un piatto, basta un dio greco della guerra sull'altro per far pendere la bilancia dall'altro lato.

Microsoft, insomma, si trova a un nuovo "anno zero". Ha seminato nell'ultimo periodo, e in termini di scelte e strutture ha seminato bene, se non benissimo. Ora ha tante frecce al suo arco, ma deve riuscire a scagliarle nella giusta direzione e dimostrare di saper mantenere un volume di fuoco costante, evitando altri scivoloni. Ci riuscirà?

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